Enogastronomia
Il Piemonte in cucina a Natale: sapori e storia a tavola
Giunti quasi al periodo più frenetico dell’anno, quello natalizio, la città raddoppia le presenze, tra le vie della città torinese, nel centro storico, e non solo, tra mercatini, caldarroste e cioccolata calda, è in arrivo quel periodo che tanto piace a noi italiani amanti del buon cibo: tra cui alcune delle tradizioni culinarie intessute nella magnificenza del territorio piemontese. Non sono pochi i piatti tipici di questa lunga tradizione che raccoglie una storia fatta di scoperte, contaminazioni, dove si possono incontrare sapori forti e decisi, come le acciughe, ingrediente cardine che non manca mai in ogni cucina piemontese, o sapori più delicati e inconfondibili come l’amato tartufo.
Come giustificare la presenza delle acciughe, ingrediente di mare, nella cucina piemontese? Sono molte le storie raccontate, tra cui l’ipotesi che siano apparse in Piemonte a seguito dei Saraceni, che dopo aver messo a ferro e fuoco la Provenza, continuarono a far razzia nelle valli piemontesi; alcuni di loro però, decisero di stabilirsi nei paesini montani e introdussero l’uso delle acciughe che, ben conservate sotto sale, erano un ottimo approvvigionamento per i lunghi mesi invernali. Nei libri di letteratura si è fatta spazio una seconda ipotesi, quella più accreditata legata al contrabbando di sale. Un alimento prezioso e, per molto tempo, merce rara per la nostra regione. Si parla di tre, forse quattro secoli fa: epoca in cui il sale veniva prodotto a Salon de Provence, e gravato da altissime tasse doganali. Le acciughe erano più economiche e venivano quindi impiegate per nascondere il sale nell’attraversamento delle dogane.
Ma arriviamo alla ricetta https://blog.giallozafferano.it/atavolacontea/acciughe-al-verde-alla-piemontese/ vera e propria, per iniziare, un antipasto: le acciughe al verde (anciue al verd). Un must nelle tavole piemontesi. Condite con una salsa di prezzemolo, olio, aglio e un pò di peperoncino. Dopo aver lavato con cura le acciughe, private della lisca e sale, averle messe a bagno in acqua e aceto, e infine asciugate, possono essere così ricoperte, per ogni strato, con questo bagnato verde delizioso. Tra sapidità e piccantezza daranno una marcia in più alle vostre tavole natalizie.
Dal mare alla terra: i peperoni. Prodotto versatile in cucina, amato dagli agricoltori in tempi lontani, soprattutto nell’area di Carmagnola quando agli inizi del ‘900 acquisì un forte interesse tra gli operatori agricoli. Era facilmente vendibile, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, quando la maggior parte della popolazione era dedita all’agricoltura, il peperone assunse un ruolo fondamentale nell’economia locale, e successivamente, con il passare del tempo, divenne parte integrante della cultura piemontese tanto che, con cadenza annuale, vengono organizzate feste e fiere a favore di questo magnifico prodotto.
La cucina locale potremmo dire avere quasi un ossessione per il celebre ortaggio. Tra cui: le acciughe incontrano i peperoni, e via con le nozze. Peperoni al forno con Bagna caüda. La regina delle salse piemontesi, occupa sicuramente un posto d’onore. Piatto originale, economico, sfizioso, facile e terribilmente goloso https://www.mangiarebene.com/ricette/antipasti/peperoni-in-bagna-cauda . Tagliati in due i peperoni, cotti nel forno, una volta spellati e privati dei semini al suo interno, possono essere innondati di bagna caüda, posti su una teglia, vengono ripassati poi nuovamente nel forno, ed infine serviti.
Altra ricetta, altra storia da raccontare, dopo le acciughe, bevuto un buon bicchiere di Barbera, si arriva al primo, per i palati più sensibili: Tajarin al Tartufo. Pasta fresca all’uovo tipica piemontese che nasce nelle cucine delle cascine delle Langhe e del Monferrato. Si diffusero in tutto il Piemonte sin dal Quattrocento, quando abbiamo le prime testimonianze di questa pasta fatta a mano. Inizialmente si consumavano soprattutto nei giorni di festa, alla domenica o per le occorrenze importanti, anche perché il numero cospicuo di tuorli previsti dalla ricetta ne fanno un piatto tutt’altro che leggero. Per questo vengono conditi con salse a base di carne, al burro, o con lamelle di tartufo.
Quest’ultimo fa da coperta alla ricetta https://chefincamicia.com/ricetta/tajarin-tartufo/ della domenica e delle feste, in questo caso, a natale: preparata la pasta rigorosamente a mano, olio di gomito, duro lavoro ma ripagato all’assaggio, cotti in acqua bollente, i tajarin, vengono poi ultimati in una casseruola con burro, e infine mantecati con parmigiano e altro burro ghiacciato. Una crema setosa che verrà raccolta da questa pasta dal giallo acceso. A pioggia, sottili lamelle di Tartufo, altro ingrediente must indiscusso della cucina e del territorio piemontese.
Se non siete corsi ai ripari, fate spazio a sua maestà: Brasato al Barolo. Laborosio da fare ma incredibilmente succulento. É il frutto dell’esperienza dei cuochi piemontesi espatriati in Francia nel XVII e XVIII secolo. Oltralpe impararono le tecniche della “nouvelle cuisine” (letteralmente nuova cucina) e, una volta tornati, le riproposero nelle case della borghesia dell’epoca. La parola “brasato” deriva dal verbo brasare, che a sua volta discende da “brase”, ovvero “brace”. In origine, infatti, il recipiente contenente la carne veniva messo nelle braci e il coperchio stesso era concavo per poter essere coperto con la brace. In questo modo la carne nella pentola veniva avvolta nel doppio calore: quello della pentola stessa e quello della brace.
Il segreto di questo piatto https://ricette.giallozafferano.it/Brasato-al-Barolo.html risiede nella sua cottura lenta, tre ore, e nella sua marinatura in un vino eccezionale come il Barolo, con aggiunta di alcuni ortaggi come: carote, sedano, cipolla. Si inizia proprio da quest’ultima, la carne viene fatta marinare per 12 ore, e solo successivamente cotta. Prima sigillata a fiamma viva, in modo da non disperdere le sue caratteristiche essenziali e mantenerla morbida e succulenta, si va poi ad aggiungere la marinatura e cotta tre ore a fuoco lento. Una volta terminata la cottura, tolte le spezie e aromi, si possono frullare gli ortaggi, ne verrà fuori una salsa squisita al barolo con cui servire la carne.
Dulcis in fundo: il Bonèt, l’originale piemontese risale a un’epoca lontana, a quando il cioccolato era ancora un prodotto sconosciuto in Europa. Infatti, pare che l’antenato di questo dolce al cucchiaio sia nato tra le Langhe e il Monferrato intorno al XIII secolo, come conclusione dei banchetti medievali più sontuosi, almeno secondo le testimonianze storiche: si tratta, tuttavia, di una ricetta diversa rispetto a quella moderna, decisamente più semplice e meno ricca di ingredienti, e soprattutto senza cacao. Grazie all’evolversi dei gusti e all’arrivo di nuovi prodotti da oltreoceano, intorno al XVIII secolo il bonèt cambia forma diventando “cioccolatoso”, nella versione che noi tutti amiamo e che si è guadagnata l’etichetta di PAT.
Sull’onda della golosità natalizia, godiamoci la cena fino all’ultimo boccone con la versione plus con cioccolato e rum. https://ricette.giallozafferano.it/Bonet.html Una volta lavorate le uova fino a renderle chiare e spumose, si possono aggiungere gli amaretti tritati, il caco, il rum e il latte. Per non farci mancare nulla: si prepara il caramello che verrà poi versato nella teglia in cui verrà aggiunto il composto, successivamente cotto a bagnomaria in forno. Trascorse un paio d’ore in frigo, preparate i cucchiaini e godetevi la felicità in un solo boccone.
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