Storia
Una città dentro una città: il ghetto ebraico di Torino e la sua testimonianza
É una città dentro una città, sparsi in tutta Italia, anche qui a Torino troviamo i resti e testimonianze del ghetto ebraico. I primi ebrei giunsero a Torino agli inizi del 1400. Nel corso del 1500, grazie alla politica di accoglienza del Duca Emanuele Filiberto di Savoia, continuarono a provenire da Spagna, Francia e Germania.
Il Ghetto Ebraico di Torino, introdotto nel 1679 per ordine della reggente Maria Giovanna Battista di Nemours, fu il primo edificato in Piemonte. Inizialmente collocato nell’area dell’ex Ospedale di Carità (che occupava la zona dell’attuale via Maria Vittoria), con il passare degli anni il numero dei suoi abitanti aumentò così tanto da costringere i governanti a costruire una parte aggiuntiva, oggi conosciuta con il nome di “Ghetto Nuovo”. L’unione tra ghetto antico e ghetto nuovo occupa tutto il quadrato di spazio compreso tra le vie Maria Vittoria, Bogino, Principe Amedeo e San Francesco da Paola.
Il ghetto rimase in vigore, fatta eccezione per una breve pausa durante il periodo napoleonica, fino al 1848, con lo Statuto Albertino, ovvero la costituzione adottata dal Regno di Sardegna che riconobbe tra i vari diritti anche quello religioso.L’interno era strutturato in cinque cortili: Cortile Grande, Cortile dei Preti, della Vite, della Taverna e della Terrazza. Questi ultimi erano collegati tra loro mediante corridoi coperti chiamati “Portici Oscuri”.
La differenza architettonica rispetto agli edifici degli isolati vicini è evidente anche a occhio nudo. A parità di altezza con le case limitrofe, le case del ghetto erano dotate di più piani, generalmente quattro più uno ammezzato: questo per cercare di recuperare spazio dove far alloggiare la crescente popolazione costretta a vivere in quel perimetro. Piazza Carlo Emanuele II, meglio conosciuta con il nome di Piazza Carlina, reca visibili i segni del vecchio ghetto ebraico nell’edificio all’angolo con via Des Ambrois.
Tutte le principali attività lavorative e di comunità si svolgevano all’interno del ghetto, così che l’uscita fosse limitata il più possibile. Ai piani inferiori degli edifici furono costruite le botteghe di piccoli commercianti e artigiani, così che tutto restasse circoscritto all’interno del ghetto.Gli ingressi dei palazzi del ghetto erano costituiti da cancellate, al contrario degli altri che avevano i classici portoni di legno. Questo per consentire a chi controllava l’area di vedere cosa succedesse all’interno anche una volta chiuso il ghetto. Alcune di queste antiche cancellate che venivano chiuse al tramonto sono ancora oggi visibili in via Maria Vittoria.
Con l’intensificarsi delle leggi razziali nel 1938, non furono altro che la premessa verso la tragedia della Shoah; quasi quattrocento furono gli ebrei torinesi deportati, tra cui Primo Levi che, sopravvissuto, diverrà nel dopoguerra con i suoi romanzi uno dei testimoni più autorevoli a livello mondiale dell’orrore di Auschwitz. Molti furono gli ebrei piemontesi (come, per esempio, Emanuele Artom) impegnati nella Resistenza e molti furono anche gli episodi di solidarietà da parte della popolazione torinese, tra i quali si segnala l’operato di padre Giuseppe Girotti, che pagherà con la morte a Dachau il suo impegno a favore degli ebrei perseguitati.
Nel dopoguerra si compì la ricostruzione della sinagoga (gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1942) e della comunità (così duramente provata dalle persecuzioni) e il 15 maggio 1955 vennero commemorate le vittime con un monumento nel cimitero ebraico di Torino, progettato da Guglielmo Olivetti, nel quale sono incisi i nomi dei 495 ebrei uccisi dal nazifascimo. Nel 1947 fu ristrutturata la biblioteca della comunità, precedentemente distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Dagli anni ’70 in poi la biblioteca è situata nell’edificio della comunità ebraica di Torino.
Oggi Torino, con i suoi mille iscritti e le sue istituzioni scolastiche e culturali, è la comunità ebraica più importante del Piemonte e la terza in Italia. La comunità torinese gestisce due scuole: la scuola primaria “Colonna e Finzi” e la scuola secondaria “Emanuele Artom” nelle quali studiano bambini di varie religioni.
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