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L’esistenza di un castello a Gavi è attestata fin dal 973. Con un diploma imperiale datato 30 maggio 1191, Enrico VI, figlio di Federico I Barbarossa, donò in feudo alla repubblica di Genova il castello e il borgo. Nel 1418, a seguito di eventi bellici, il feudo passò sotto la signoria dei Visconti di Milano; dopo altri passaggi di proprietà, nel 1528 esso tornò alla repubblica di Genova, che lo detenne fino al 1815, anno in cui l’antica repubblica fu annessa al regno sabaudo.
Nel corso dei secoli il castello assunse l’aspetto di una possente fortezza. I primi interventi radicali furono eseguiti nel 1540 da Giovanni Maria Olgiati, ingegnere militare al servizio della repubblica di Genova, che progettò e ricostruì completamente la cinta muraria, realizzando nuovi bastioni e consolidando la struttura originaria.
Nel XVII secolo il forte fu ulteriormente ampliato con l’intervento del frate domenicano Vincenzo da Fiorenzuola, al secolo Gaspare Maculani. Questi, noto per essere stato l’inquisitore al processo contro Galileo Galilei, era, oltre che un religioso, un grande esperto di architettura militare. I lavori per la trasformazione dell’edificio in una grande fortezza furono compiuti tra il 1626 e il 1629, ma altri interventi si susseguirono fino agli albori del XIX secolo. Sul lato di levante fu costruita la “ridotta” di Monte Moro, collegata al forte da una galleria; all’interno furono edificati alloggi per militari e ufficiali, cisterne, polveriere, corpi di guardia e piazze d’armi, il tutto con l’ausilio dei più famosi ingegneri militari dell’epoca, da Stefano Scaniglia a Domenico Orsolino, da Pietro Morettini a Pierre De Cotte.
Nel 1859 l’antica fortezza genovese fu disarmata e privata della sua identità storica per essere trasformata in reclusorio civile; durante il primo conflitto mondiale essa diventò un carcere militare. Nell’interludio fra le due guerre, in alcuni terrapieni della fortezza furono impiantati vitigni sperimentali dal Consorzio Antifilosserico. Con la Seconda Guerra Mondiale il forte tornò ad essere luogo di detenzione; nel 1946 esso fu consegnato alla Soprintendenza per i Beni Architettonici del Piemonte, che fin dal 1978 ha avviato una costante e progressiva opera di restauro e salvaguardia di questo raro esempio di architettura militare.
L’esistenza di un castello a Gavi è attestata fin dal 973. Con un diploma imperiale datato 30 maggio 1191, Enrico VI, figlio di Federico I Barbarossa, donò in feudo alla repubblica di Genova il castello e il borgo. Nel 1418, a seguito di eventi bellici, il feudo passò sotto la signoria dei Visconti di Milano; dopo altri passaggi di proprietà, nel 1528 esso tornò alla repubblica di Genova, che lo detenne fino al 1815, anno in cui l’antica repubblica fu annessa al regno sabaudo.
Nel corso dei secoli il castello assunse l’aspetto di una possente fortezza. I primi interventi radicali furono eseguiti nel 1540 da Giovanni Maria Olgiati, ingegnere militare al servizio della repubblica di Genova, che progettò e ricostruì completamente la cinta muraria, realizzando nuovi bastioni e consolidando la struttura originaria.
Nel XVII secolo il forte fu ulteriormente ampliato con l’intervento del frate domenicano Vincenzo da Fiorenzuola, al secolo Gaspare Maculani. Questi, noto per essere stato l’inquisitore al processo contro Galileo Galilei, era, oltre che un religioso, un grande esperto di architettura militare. I lavori per la trasformazione dell’edificio in una grande fortezza furono compiuti tra il 1626 e il 1629, ma altri interventi si susseguirono fino agli albori del XIX secolo. Sul lato di levante fu costruita la “ridotta” di Monte Moro, collegata al forte da una galleria; all’interno furono edificati alloggi per militari e ufficiali, cisterne, polveriere, corpi di guardia e piazze d’armi, il tutto con l’ausilio dei più famosi ingegneri militari dell’epoca, da Stefano Scaniglia a Domenico Orsolino, da Pietro Morettini a Pierre De Cotte.
Nel 1859 l’antica fortezza genovese fu disarmata e privata della sua identità storica per essere trasformata in reclusorio civile; durante il primo conflitto mondiale essa diventò un carcere militare. Nell’interludio fra le due guerre, in alcuni terrapieni della fortezza furono impiantati vitigni sperimentali dal Consorzio Antifilosserico. Con la Seconda Guerra Mondiale il forte tornò ad essere luogo di detenzione; nel 1946 esso fu consegnato alla Soprintendenza per i Beni Architettonici del Piemonte, che fin dal 1978 ha avviato una costante e progressiva opera di restauro e salvaguardia di questo raro esempio di architettura militare.
La nascita dei Giardini Reali, situati nell'area retrostante Palazzo Reale, risale all'epoca di Emanuele Filiberto, il re che definì Torino capitale del suo ducato. Per realizzarli ci si ispirò alle maggiori regge d'Europa, alle ville medicee e alle residenze francesi. In quel periodo storico la progettazione del verde era considerata una vera e propria arte. Nell'impianto attuale dei Giardini Reali è ancora ben visibile il progetto originale di André le Nôtre, architetto di fiducia di Luigi XIV, che progettò anche il parco che circonda la reggia di Versailles.
Un nuovo progetto, attualmente in svolgimento, prevede la risistemazione del verde e il restauro delle fontane e delle statue. Camminare fra i viali del giardino permetterà ai visitatori immergersi in un spazio ricco di specie vegetali, giochi d’acqua, fiori e fontane.
La nascita dei Giardini Reali, situati nell'area retrostante Palazzo Reale, risale all'epoca di Emanuele Filiberto, il re che definì Torino capitale del suo ducato. Per realizzarli ci si ispirò alle maggiori regge d'Europa, alle ville medicee e alle residenze francesi. In quel periodo storico la progettazione del verde era considerata una vera e propria arte. Nell'impianto attuale dei Giardini Reali è ancora ben visibile il progetto originale di André le Nôtre, architetto di fiducia di Luigi XIV, che progettò anche il parco che circonda la reggia di Versailles.
Un nuovo progetto, attualmente in svolgimento, prevede la risistemazione del verde e il restauro delle fontane e delle statue. Camminare fra i viali del giardino permetterà ai visitatori immergersi in un spazio ricco di specie vegetali, giochi d’acqua, fiori e fontane.
I Musei Reali di Torino sono situati nel cuore della città antica e propongono un affascinante itinerario di storia, arte e natura che si snoda attraverso 55.000 mq, con testimonianze che datano dalla Preistoria all’età moderna riunendo in un unico grande progetto museale: il Palazzo Reale, i Giardini Reali, la Biblioteca e l'Armeria Reale, la Galleria Sabauda, il Museo Archeologico, Palazzo Chiablese e la Cappella della Sindone.
I Musei Reali di Torino sono situati nel cuore della città antica e propongono un affascinante itinerario di storia, arte e natura che si snoda attraverso 55.000 mq, con testimonianze che datano dalla Preistoria all’età moderna riunendo in un unico grande progetto museale: il Palazzo Reale, i Giardini Reali, la Biblioteca e l'Armeria Reale, la Galleria Sabauda, il Museo Archeologico, Palazzo Chiablese e la Cappella della Sindone.
Il museo archeologico di Torino mantiene la denominazione storica di Museo di Antichità per sottolineare la continuità di questa storica istituzione. Le sue origini risalgono alla metà del Cinquecento, con le raccolte del duca Emanuele Filiberto di Savoia, poi incrementate da Carlo Emanuele I e collocate nella galleria appositamente creata per ospitare le collezioni ducali. Nel 1723 Vittorio Amedeo II, re di Sardegna, incaricò l’insigne studioso Scipione Maffei di sistemare la raccolta di lapidi che, insieme alle antichità già esistenti, fu allestita nel Palazzo dell’Università. Nel corso dell’Ottocento quasi tutte le antichità classiche vennero trasferite nel palazzo dell’Accademia delle Scienze, dove nel frattempo aveva trovato posto un’importante collezione di reperti egizi: nacque così il Regio Museo di Antichità greco-romane ed egizie.
Nel 1940, con la definitiva separazione dal Museo Egizio, nasce il nuovo Museo di Antichità, che dal 1982 ha trovato una sede autonoma nelle ottocentesche serre di Palazzo Reale, ove è attualmente ospitato il nucleo storico delle collezioni. Le raccolte di antichità sabaude, a cui si aggiunsero in seguito altre prestigiose donazioni e acquisizioni, consentono di seguire l’evoluzione del gusto collezionistico e testimoniano il crescere dell’interesse per l’archeologia in Piemonte.
Un nuovo padiglione, creato nel 1998, accoglie la sezione del territorio piemontese: lungo il percorso espositivo si snoda un ideale viaggio a ritroso nel tempo, per incontrare una dopo l’altra, come nelle realtà dello scavo archeologico, le molte e sorprendenti testimonianze del Piemonte antico. Il piano sotterraneo della Manica Nuova di Palazzo Reale costituisce uno straordinario collegamento con l’area archeologica del Teatro romano ed è attualmente destinato a ospitare mostre temporanee, in attesa del nuovo riallestimento delle collezioni e del collegamento con il Polo Reale.
Il museo archeologico di Torino mantiene la denominazione storica di Museo di Antichità per sottolineare la continuità di questa storica istituzione. Le sue origini risalgono alla metà del Cinquecento, con le raccolte del duca Emanuele Filiberto di Savoia, poi incrementate da Carlo Emanuele I e collocate nella galleria appositamente creata per ospitare le collezioni ducali. Nel 1723 Vittorio Amedeo II, re di Sardegna, incaricò l’insigne studioso Scipione Maffei di sistemare la raccolta di lapidi che, insieme alle antichità già esistenti, fu allestita nel Palazzo dell’Università. Nel corso dell’Ottocento quasi tutte le antichità classiche vennero trasferite nel palazzo dell’Accademia delle Scienze, dove nel frattempo aveva trovato posto un’importante collezione di reperti egizi: nacque così il Regio Museo di Antichità greco-romane ed egizie.
Nel 1940, con la definitiva separazione dal Museo Egizio, nasce il nuovo Museo di Antichità, che dal 1982 ha trovato una sede autonoma nelle ottocentesche serre di Palazzo Reale, ove è attualmente ospitato il nucleo storico delle collezioni. Le raccolte di antichità sabaude, a cui si aggiunsero in seguito altre prestigiose donazioni e acquisizioni, consentono di seguire l’evoluzione del gusto collezionistico e testimoniano il crescere dell’interesse per l’archeologia in Piemonte.
Un nuovo padiglione, creato nel 1998, accoglie la sezione del territorio piemontese: lungo il percorso espositivo si snoda un ideale viaggio a ritroso nel tempo, per incontrare una dopo l’altra, come nelle realtà dello scavo archeologico, le molte e sorprendenti testimonianze del Piemonte antico. Il piano sotterraneo della Manica Nuova di Palazzo Reale costituisce uno straordinario collegamento con l’area archeologica del Teatro romano ed è attualmente destinato a ospitare mostre temporanee, in attesa del nuovo riallestimento delle collezioni e del collegamento con il Polo Reale.
Il Parco Reale del castello di Racconigi è aperto indicativamente da marzo-aprile fino alla fine del mese di ottobre, secondo le indicazioni fornite dalla Direzione del Castello.
Il Parco del castello è un luogo carico di suggestioni, uno scenario che dà risalto all'architettura del palazzo, ma non solo. Esso è testimonianza dell'abilità e dell'esperienza degli architetti che lo progettarono e dei giardinieri che in esso lavorarono. Insieme alla residenza, è anche specchio della cultura, del gusto, della sensibilità e del carattere di chi ne volle la realizzazione. Nel corso della storia secolare del castello dei principi di Carignano il parco ha assunto diversi aspetti.
Alla fine del Seicento a nord del palazzo si disponeva, con geometrico rigore, l'armonioso giardino di Le Nôtre , il famoso architetto francese ideatore dei giardini di Versailles. Un secolo dopo Giuseppina di Lorena, principessa di Carignano, affidò a Giacomo Pregliasco la trasformazione di una parte del parco in giardino "all'inglese", secondo il gusto dell'epoca. Il giardino di Giuseppina di Lorena non presentava più lo schema geometrico ordinato di Le Nôtre (tutto aiuole e parterre ), ma offriva un percorso ricco di emozioni e coinvolgente in una natura apparentemente selvaggia, in realtà sapientemente progettata dall'architetto-giardiniere. Parallelamente ai lavori nella residenza, intorno agli anni venti-trenta del XIX secolo anche lo spazio verde adiacente fu interessato da un ampliamento e da una profonda trasformazione.
Nel parco all'inglese di Carlo Alberto, realizzato dal giardiniere tedesco Xavier Kurten, i sentieri tortuosi tra le grandi distese di prati e i boschetti, il lago dai contorni sinuosi con l'isoletta, i ponticelli, le rovine, la grotta, gli edifici pittoreschi e le prospettive sempre diverse, evocavano un'atmosfera romantica, tipica dell'arte dei giardini del XIX secolo.
Il Parco tra l'Ottocento e il Novecento fu destinato principalmente a tenuta agricola e venne quindi trascurato come giardino, ma fu soprattutto durante il secondo conflitto mondiale e nel dopoguerra che si verificò una carenza di manutenzione e un progressivo stato di abbandono.
Il parco oggi, dopo una serie di interventi e di restauri, si presenta al visitatore nello stesso aspetto datogli dal Kurten nell'Ottocento. Luogo suggestivo in ogni stagione, è ricco di una grande varietà di specie vegetali e di animali protetti. Come il castello, è divenuto sede suggestiva di attività ed eventi culturali.
Il Parco Reale del castello di Racconigi è aperto indicativamente da marzo-aprile fino alla fine del mese di ottobre, secondo le indicazioni fornite dalla Direzione del Castello.
Il Parco del castello è un luogo carico di suggestioni, uno scenario che dà risalto all'architettura del palazzo, ma non solo. Esso è testimonianza dell'abilità e dell'esperienza degli architetti che lo progettarono e dei giardinieri che in esso lavorarono. Insieme alla residenza, è anche specchio della cultura, del gusto, della sensibilità e del carattere di chi ne volle la realizzazione. Nel corso della storia secolare del castello dei principi di Carignano il parco ha assunto diversi aspetti.
Alla fine del Seicento a nord del palazzo si disponeva, con geometrico rigore, l'armonioso giardino di Le Nôtre , il famoso architetto francese ideatore dei giardini di Versailles. Un secolo dopo Giuseppina di Lorena, principessa di Carignano, affidò a Giacomo Pregliasco la trasformazione di una parte del parco in giardino "all'inglese", secondo il gusto dell'epoca. Il giardino di Giuseppina di Lorena non presentava più lo schema geometrico ordinato di Le Nôtre (tutto aiuole e parterre ), ma offriva un percorso ricco di emozioni e coinvolgente in una natura apparentemente selvaggia, in realtà sapientemente progettata dall'architetto-giardiniere. Parallelamente ai lavori nella residenza, intorno agli anni venti-trenta del XIX secolo anche lo spazio verde adiacente fu interessato da un ampliamento e da una profonda trasformazione.
Nel parco all'inglese di Carlo Alberto, realizzato dal giardiniere tedesco Xavier Kurten, i sentieri tortuosi tra le grandi distese di prati e i boschetti, il lago dai contorni sinuosi con l'isoletta, i ponticelli, le rovine, la grotta, gli edifici pittoreschi e le prospettive sempre diverse, evocavano un'atmosfera romantica, tipica dell'arte dei giardini del XIX secolo.
Il Parco tra l'Ottocento e il Novecento fu destinato principalmente a tenuta agricola e venne quindi trascurato come giardino, ma fu soprattutto durante il secondo conflitto mondiale e nel dopoguerra che si verificò una carenza di manutenzione e un progressivo stato di abbandono.
Il parco oggi, dopo una serie di interventi e di restauri, si presenta al visitatore nello stesso aspetto datogli dal Kurten nell'Ottocento. Luogo suggestivo in ogni stagione, è ricco di una grande varietà di specie vegetali e di animali protetti. Come il castello, è divenuto sede suggestiva di attività ed eventi culturali.
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